Marco Gualdani - 10 April 2021

Wey Zapata: l’ultima intervista

Wey è deceduto in un incidente il giorno di Pasqua. Aveva sorpreso il mondo tornando a guidare una moto da cross dopo aver perso un braccio. Questa è l’intervista che ci aveva rilasciato pochi giorni fa

Questa è una di quelle storie che non vorremmo mai raccontare. Perché non ha lieto fine, come invece sembrava. Solo 4 mesi fa il crossista argentino Wey Zapata è rimasto vittima di un brutto incidente stradale che ha richiesto l’amputazione del braccio sinistro. Nonostante questo è ritornato in sella alla sua Kawasaki opportunamente modificata, stupendo il mondo intero per ciò che riusciva a fare nonostante le limitazioni. È tornato subito anche dietro a un cancello di partenza, ricominciando a correre contro i normodotati, ottenendo anche dei risultati importanti. Purtroppo in una di queste gare, il giorno di Pasqua, è caduto dopo un salto, venendo investito da due piloti. Per lui non c’è stato nulla da fare; aveva solo 23 anni e una voglia di vivere che non si era minimamente arrestata dopo l’incidente stradale a cui era miracolosamente sopravvissuto. Perdere la via appena 4 mesi dopo in questo modo è davvero una beffa del destino.

Noi lo avevamo intervistato sul numero di marzo. Un’intervista che riportiamo qui in forma integrale, come se nulla fosse successo. Per farvi comprendere il carattere e la determinazione di un ragazzo la cui storia si è fermata troppo presto.

Prima di tutto vogliamo conoscerti meglio. Chi sei, da dove vieni e come ti sei appassionato alla moto?

“Sono Geronimo Alberto Zapata Bacur e vivo in Argentina. La passione per la moto arriva da mio padre, un ex pilota di enduro e motocross e oggi meccanico. Sono cresciuto tra moto, pezzi di ricambio, coppe e gare. I miei genitori hanno visto subito che quando ero in pista diventato matto e volevo salire sulle moto e così facendo qualche sacrificio mi hanno comprato una Yamaha PW 50. Da lì ho iniziato”.

A quali gare hai partecipato prima dell’incidente?

“Sono partito da competizioni locali, poi regionali per arrivare al Campionato Nazionale. Sono riuscito a vincerlo tre volte. Ho corso anche in Perù e in varie parti del Sud America. Nel 2014 ho provato anche a fare il Mondiale Junior in Belgio, ma ho rotto la moto nelle prove e non sono riuscito a qualificarmi. Fino al 2019 sono stato molto competitivo in Sud America e il mio sogno era venire a correre in Italia”.

Poi, nel 2020, hai avuto quel brutto incidente: cosa è successo?

“Stavo guidando la macchina, ma ero molto stanco. Credo di essermi addormentato e dopo aver colpito il guard rail la macchina si è cappottata. Sembra che il mio braccio sinistro sia uscito dal finestrino mentre l’auto strusciava e così l’hanno dovuto amputare. Per mia fortuna dietro di me c’era una dottoressa che mi ha prestato soccorso, fermando l’emorragia; mi ha salvato”.

Quanto ti ha cambiato quell’incidente?

“Ha sconvolto i miei piani sportivi. Il resto non troppo. Sono solo un po’ più lento e non solo in moto. Anche nelle cose semplici, come vestirmi o lavarmi, mangiare. Tutte cose che con due mani fai in automatico e fino a quando non ti mancano non ti rendi conto”.

Hai impiegato molto tempo a riprenderti dopo l’incidente?

“No. A livello mentale mi sono ripreso già dopo una settimana, stupendo i medici e gli psicologi che mi seguivano. Mentre per il recupero fisico ho impiegato circa tre settimane. Pensa che dopo un mese e mezzo stavo provando a risalire in moto e dopo due ho ricominciato a girare”.

Perché hai deciso di tornare in sella?

“Non l’ho deciso. Non ho mai pensato il contrario, non sono mai voluto scendere. Forse è proprio l’amore per questo sport e per le moto che mi dà la forza e la motivazione per andare avanti”.

Hai dovuto modificare la moto, però. In che modo?

“Abbiamo montato un ammortizzatore di sterzo, spostato la frizione sul lato destro, aumentato il volume delle pedane per farmi ancorare meglio e spostato il manubrio 2 cm più a destra. Stiamo valutando se mettere anche una frizione Rekluse per facilitarmi in certe situazioni. E c’è ancora altro da fare; diciamo che siamo in fase di test”.

E invece come hai allenato il tuo fisico per ritornare in moto?

“Mi alleno 3 ore al giorno e faccio tantissimi esercizi per l’equilibrio rinforzando le gambe e il bacino. Questo mi permette di avere più stabilità in sella”.

Hai dovuto modificare anche il tuo stile di guida.

“Tanto. Per esempio faccio molta più fatica a guidare la moto in piedi sulle pedane, avendo un punto di appoggio in meno. Quindi sto molto più seduto e per questo devo interpretare la pista in modo diverso, andando a cercare linee più scorrevoli e meno bucate. Ma così facendo riesco a mantenere una buona velocità senza troppa difficoltà”.

Ma come fai a saltare?

“Devo valutarli molto bene, molto più di prima. Sono obbligato ad atterrare sempre nel punto giusto, perché non riesco ad assorbire l’impatto di un salto corto o lungo. Se atterro in discesa non ho problemi. Faccio più fatica nelle curve a sinistra, dato che mi manca un appoggio. Questa è la cosa che mi mette più in difficoltà”.

Sei anche già ritornato dietro al cancello, correndo una gara locale!

“Ho provato un’emozione pazzesca, quando siamo partiti per me è stato come rinascere. Mi sono sentito completo ed è questo che mi dà questo sport: pelle d’oca, orgoglio, felicità. Ho fatto vedere a tanta gente che nella vita si può andare avanti nonostante le difficoltà”.

Stai pensando di sfruttare una protesi?

“Sì, stiamo già lavorando con dei dottori argentini e anche con qualche clinica europea. Con una protesi migliorerei molto la guida, anche se non mi faccio troppe illusioni. Me ne servirebbero due, una per lo sport e una per la vita quotidiana. Sono molto costose e per questo stiamo valutando varie cliniche. Diciamo che per quella sportiva servono 12.000 dollari e per quella quotidiana 40.000”.

Prima dell’incidente avevi anche una scuola di cross. Stai continuando?

“Certo, alleno tanti piccoli piloti. Il progetto è iniziato due anni fa e va molto bene. I ragazzi mi capiscono, ho un bel rapporto con tutti loro. Essere tornato dopo l’incidente li ha resi felici e ha insegnato tanto anche a loro”.

Il tuo ritorno ti ha reso molto popolare.

“Ho ricevuto un sacco di supporto da parte di tanti piloti della Dakar o del Supercross tramite messaggi di conforto, saluti e tanti auguri per la ripresa. E ho avuto sostegno anche da parte di piloti di auto e persino dai calciatori del Boca Junior che mi hanno invitato allo stadio (la Bombonera) e mi hanno fatto tanti regali”.

Ma è vero che Netflix vuole raccontare la tua vita?

“Sì, te lo confermo. Mi hanno contattato per creare un documentario su di me. Stanno lavorando per renderlo possibile. Si è fatta avanti anche la Nike per collaborare a questa iniziativa”.

Prima hai parlato del sogno di venire in Italia. L’hai abbandonato?

“Affatto, ho ancora la voglia di provare a correre in Italia; so che è molto difficile, ma nulla è impossibile. Prima dell’incidente stavo programmando il viaggio e avevo già iniziato a fare i documenti. Il mio bisnonno era italiano e il programma era venire in Italia a riscoprire le mie origini e allo stesso tempo inserirmi nel mondo del motocross, girare nelle vostre piste e partecipare a un Campionato di alto livello”.

Come vedi il tuo futuro?

“Nel motocross. Vorrei prima di tutto tornare a essere competitivo e se non ci dovessi riuscire andrò avanti con la scuola e seguirò qualche pilota. Per il momento mi sto concentrando sul migliorare fisicamente e mentalmente per migliorare la mia vita di sportivo e poter dimostrare ad altre persone con disabilità che non bisogna arrendersi. È importante andare avanti e inseguire i propri sogni con amore e passione”.

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