Le cosa sono cambiate drasticamente nei primi anni Duemila, quando è esploso uno dei tanti boom del fuoristrada, caratterizzato dall'arrivo di una nuova generazione di moto da enduro: monocilindriche 4T leggerissime, con motori potenti e con poco olio, dotati della stessa ciclistica delle 250 2T e con prestazioni molto simili. Queste moto hanno traghettato nel mondo dell'enduro racing tanta gente che aveva paura dei due tempi, per sviariati motivi (erogazioni brusche, vibrazioni, miscela da fare, grippaggi) ma che era stufa di dover domare moto da oltre 130 kg di peso. In coincidenza con tale boom è nata la rivista FUORIstrada, io sono entrato a farne parte e uno dei miei compiti è stato quello di fare una cavalcata al mese. E nel 2003 c'erano soltanto cavalcate tecniche per monocilindriche racing. La filosofia di base di tali eventi, che non erano competitivi, era questa: gli organizzatori di gare di enduro tiravano fuori un anello di 100 km mettendo insieme i passaggi più tosti della zona. Il percorso ruotava intorno al paese di partenza. In generale questi eventi si svolgevano in autunno, inverno e primavera, con qualsiasi situazione metereologica. Essendo il principio di tali eventi quello di sputare sangue, se pioveva era ancora meglio. In generale i primi che partivano erano bravissimi e facevano tutto l'anello in tre orette, senza fermarsi. Tutti gli altri si piantavano sul primo ostacolo e si creavano cataste di uomini e mezzi, i famosi tappi, dove si stava fermi anche per un'ora di fila. Quelli dietro si precipitavano ad aiutare quelli davanti, c'era tanta solidarietà, era davvero bello. Io mi sono buttato a pesce con entusiasmo a seguire questi eventi, spaziando tra Valle d'Aosta e Carnia fino alla Sicilia, senza risparmiare tutto il Centro Italia e la Sardegna. Questa volta avevo la reflex - anzi, due - e il mio scopo era raccontare l'evento dal punto di vista del partecipante. Per cui mi facevo il percorso senza tagliarne un solo pezzo, fotografando tutto: il paesaggio, i pezzi difficili, i tappi, i ristori, le facce della gente. Volevo che, nei miei articoli, trasparisse l'anima dell'evento, che spesso era unica, perché dipendeva dal tipo di terreno, dal paesaggio, dall'esperienza di chi organizzava, dal suo sadismo, dalla goliardia e dall'abilità dei cuochi addetti ai ristori. Ce n'era una, a Pistoia, che offriva vino a coloro che fossero riusciti a superare una sassaia viscida in salita...
In tutto ho partecipato a una settantina di cavalcate tecniche, fotografandole tutte, ma quegli scatti sono finiti, per buona parte, o dentro scatoloni di diapositive che non avrò mai il coraggio di sistemare, o in CD che si sono smagnetizzati. Ho pochissime foto di quegli eventi e, ovviamente, la cosa che più mi piaceva fotografare erano i pezzi cosiddetti hard. Quelli dove la gente si piantava e si creavano i tappi.