Davide Turchet è un pilota che tutti conoscono nelle piste da cross italiane. Corre da tantissimi anni e sempre con ottimi risultati. In pochi si spiegano come possa aver ottenuto così tanti successi nella sua carriera, considerando il grave handicap di essere sordomuto dalla nascita. Un deficit che Davide ha sempre superato grazie alla sua grande passione e alle sue doti naturali nel guidare una moto da cross. La nostra Mara Ghezzi lo ha intervistato, con il supporto di Sergio Blancuzzi, per scoprire come faccia a guidare la moto così bene e in maniera così naturale.
Ciao Davide: come è nata questa tua grande passione?
“Mio papà giocava a calcio, così come quasi tutti i miei coetanei, ma a me non è mai interessato molto. Poi ho visto un vicino di casa girare in giardino con una moto piccola e mi sono innamorato all'istante di questo sport! A quattro anni i miei genitori mi hanno regalato una Malaguti con cui giravo praticamente tutti i giorni e da quel momento è iniziato tutto. Sono riuscito ad andare avanti anche grazie a persone che voglio ringraziare: la mia famiglia, Mario Laurenti e Luigi Morettin, oltre al Team Martin che per me è stato come una seconda casa".
Quali erano, se c'erano, le principali difficoltà che hai incontrato quando ti sei ritrovato su una moto da cross?
"Posso dirti in tutta sincerità che non ho trovato grandi difficoltà. Guidare è una cosa che mi viene sostanzialmente naturale. Da piccolo guardavo le VHS dei piloti più forti al mondo, come Stefan Everts, che per me era unico nella sua guida: pulito e veloce allo stesso tempo, e poi cercavo a mio modo di mettere in pratica la loro tecnica. Con questo, e non solo, sono piano piano migliorato. Quindi posso dirti che non sentire, una volta capito il meccanismo e come fare, non è stato un grosso ostacolo".
Come fai a comunicare con chi ti sta intorno?
"Da piccolo ho imparato il linguaggio labiale, quindi leggo le labbra delle persone. Mi interfaccio con gli amici con questo linguaggio e con i segni. E poi nel motocross, nello specifico, ci si basa su regole fisse e sui colori delle bandiere, quindi è più facile per me il mondo delle moto. Inoltre, per la messa a punto della moto ho sempre avuto il supporto dei team. Alla fine è solo una questione di capirci a vicenda".
Di sicuro il talento c'era e si vedeva. Nel 2006 hai vinto un titolo nazionale. Cosa hai provato in quell'occasione?
"All'inizio, in realtà, con il 125 non andavo molto forte. Poi piano piano, nel 2002 ho vinto il Triveneto cadetti, nel 2004 ho fatto il passaggio dalla due alla quattro tempi e nel 2006 ho vinto il Campionato Italiano e nello stesso anno anche la Top Rider. Chiaramente ero molto felice perché dopo tanti sacrifici miei, dei miei genitori, degli sponsor e del Team, per noi è stata una grossa soddisfazione".
Ma come fai a cambiare marcia nel momento giusto?
"Mio papà mi ha insegnato a usare il cambio a sette anni, perché dovevo passare di categoria. È difficile da spiegare come faccio; probabilmente il mio problema mi ha permesso di sviluppare questa sensibilità e tramite le vibrazioni del motore e del telaio riesco a capire quando cambiare marcia, sia in salita sia in scalata".
E come riesci ad accorgerti dell'arrivo degli altri piloti in gara?
"Purtroppo non li sento; quando ero nel minicross o comunque i primi anni in cui facevo le gare mi giravo spesso. Piano piano, dopo varie insistenze e dopo che mi hanno fatto capire che dovevo fare la mia strada e guardare solo le bandiere, ho imparato a non guardarmi più indietro. Una volta, è successo, se non ricordo male agli Internazionali d’Italia del 2010 a Castiglione del Lago, che non sentendo arrivare Cairoli, in una curva ci siamo stesi tutti e due perché appunto non l’avevo sentito arrivare. Mi è dispiaciuto un sacco, ma purtroppo è andata così".