Nella telefonata dell’ingorgo mi avvisa che c’è una Baja in Qatar dove ha sentito dire che a chi partecipa vengono rimborsate le spese. Ovviamente fatico a crederlo, se c’è un ambiente dove la parola “gratis” è completamente assente questo è il mondo dei rally. Faccio un paio di telefonate tra i miei contatti e scopro con sorpresa che è proprio così. A chi decide di iscriversi alla QATAR International Baja 2023 (e supera le verifiche tecniche) la Federazione Motociclistica del Qatar rimborsa tutte le spese: trasporto moto A/R, volo A/R, Hotel e iscrizione gara. Solo l’iscrizione gara (1.000 dollari) non viene rimborsata al 100%. Ci mancherebbe direte voi, qualcosa bisogna pur riconoscere a questi signori. Viene rimborsata al 120%. Lo so, faccio ancora fatica a crederlo io che la gara l’ho fatta, figuriamoci voi. Ma che tipo di gara è questa? Una Baja che dura solo 2 giorni, circa 800 km tra speciali e trasferimenti. Andrebbe bene anche una moto da enduro con un serbatoio da 12-13 litri. Però si corre tra le dune, i consumi possono essere elevati, forse sarebbe meglio una moto stile Dakar. Certo che andare dall’altra parte del mondo per fare una gara di 2 giorni… Io una moto pronta per la Dakar ce l’ho, la Honda 450 Rally con la quale ho corso l’edizione 2022. In realtà ero iscritto anche all’edizione 2023, ma una brutta frattura della clavicola in allenamento mi ha costretto a rinunciare. Quindi sono a cavallo, moto pronta, tutto gratis, cos’altro posso chiedere dalla vita? Adesso capite perché la telefonata di Zacchetti mi ha cambiato la giornata! Nel giorno stabilito vado a Genova a spedire la moto, una cassa e la borsa con l’abbigliamento da gara. Non ho meccanico, non ho gomme di scorta, tanto deve tutto durare solo 2 giorni e io sono un ottimista per natura.
Mi piacciono le Baja, senza lo stress di dover trovare la strada con il roadbook. Il percorso è segnato da grandi frecce come nelle gare di enduro, bisogna solo pensare a dare gas e stare attenti agli ostacoli per terra. Una volta ho fatto la Baja Aragon in Spagna e mi sono divertito un sacco, poi ho rotto il mozzo della ruota posteriore in un deserto tipo Far West e mi sono divertito meno, anche perché non avevo una ruota di scorta e sono tornato a casa. Mi sono però divertito lo stesso. Certo che mettere frecce nel deserto tra le dune per delimitare 800 km di percorso deve essere una bella faticaccia per gli organizzatori, chi è il pazzo che lo farebbe? Nessuno, perché poi ho scoperto che la Baja Qatar è una baja che è molto rally e poco baja. Anzi, non è per niente baja, è solo rally. Ci vogliono road book e strumento satellitare Stella per navigare tra i vari waypoints, esattamente come alla Dakar. Manuel Lucchese e Maurizio Dominella, navigatori auto professionisti che hanno fatto più volte questa gara, ci dicono che è uno dei rally con la navigazione più estrema che abbiano mai corso, quasi impossibile non perdersi. Ci consigliano di non andare a manetta e di seguire il roadbook al millimetro perché perdersi è un attimo. Ma allora perché la chiamano Baja? Non lo so, tanto ci pagano tutto e per quel che mi riguarda lo possono chiamare anche Festival di Sanremo, l’importante per me è andare in moto. Non mi interessa dove e come, a me piace attraversare deserti e vivere l’atmosfera dei rally con gli amici. E di amici ce ne sono, perché oltre a Zacchetti è della partita Ottavio Missoni fresco di una Dakar 2023 brillantemente conclusa, Alberto Bertoldi, Elio Aglioni reduce da un infortunio nel fare motocross dove si è rotto un sacco di costole e la clavicola in più punti. C’è anche Paolo Lucci, il nostro miglior rallysta “da deserto” che era nei paraggi perché si era da poco concluso l'Abu Dhabi Desert Challenge, la 2a prova del World Rally-Raid Championship (la 1^ prova è stata la Dakar 2023) dove tra l’altro è in testa al Mondiale Rally 2.
Arriviamo tutti a Doha (la capitale) un paio di giorni prima della partenza perché ci sono da fare le verifiche tecniche ed amministrative più un prologo che deciderà l’ordine di partenza.
Ognuno di noi ha le verifiche fissate a un certo orario il cui rispetto è categorico, per cui andiamo al paddock per prendere le nostre cose e cominciare a preparare tutto. Il paddock è in un parcheggio di uno degli stadi nati per il mondiale di calcio che si è svolto nel 2022, a due passi dal circuito di Losail a una ventina di chilometri da Doha. Tutto sembra fin troppo perfetto, ancora non lo sappiamo, ma le cose stanno per prendere una brutta piega. I rally si possono definire come il “regno degli imprevisti”. È una specie di fabbrica che produce problemi di qualunque natura: meccanica, fisica, psicologica, finanziaria e logistica. Perché fare i rally allora? Spesso me lo chiedo anche io. Forse mi piace mettermi alla prova. Mi sento realizzato quando riesco a terminare una tappa, riesco a schivare le insidie, ritrovo la strada dopo che mi sono perso. Forse mi piace perché nei rally cade qualunque maschera, quelle che indossiamo quando siamo in società. Nei rally sei solo tu, la moto e il deserto che hai davanti. Non ci sono scuse, sei solo con te stesso che spesso è il tuo nemico più grande. In un certo senso impari a conoscerti veramente e soprattutto impari ad accettare i tuoi limiti. Poi si vedono posti pazzeschi, si respirano altre culture, si attraversano altri mondi e alla fine di ogni tappa ci si trova tutti insieme a sistemare le moto e ci si racconta le varie (dis)avventure che sono capitate. Fare i rally fa bene alla mente, ma anche al corpo, visto che ci si asciuga un bel po’. Ma quindi qual è il problema? Arrivati al paddock non c’è traccia delle nostre moto, casse e borse con dentro tutto. Le verifiche sono già iniziate e i vari team sono belli pronti. Tutti tranne noi che non sappiamo cosa fare perché non abbiamo niente.
Contattiamo la persona che doveva essere già lì con il nostro container e ci dice che è bloccato con il camion in frontiera (Arabia Saudita-Qatar) per controlli documentali e appena risolve arriva al paddock distante circa 250 km. Chissà per quale motivo il container con la nostra roba è stato inviato a Jeddah e non a Dubai, porto molto più vicino.
Ci dirigiamo in direzione gara per far presente il problema e si dimostrano tutti molto amichevoli dicendo di non preoccuparci perché loro vogliono assolutamente vedere gli italiani alla partenza della gara e quindi ci avrebbero aspettato.
La cosa ci rincuora, arrivare fin lì e non correre sarebbe una beffa. Visto che non possiamo fare nulla, nell’attesa facciamo i turisti e giriamo un po’ per la città, il clima è ideale, una trentina di gradi per niente umidi. Tutto è estremamente pulito e ordinato, ricorda molto Dubai. Si fa pomeriggio ma delle moto non c’è l’ombra. Si fa sera e non si fa vedere nessuno. Telefoniamo nuovamente al trasportatore e ci dice che è ancora bloccato. Nel frattempo il direttore di gara, non vedendoci più arrivare alle verifiche ci contatta dicendo che per le verifiche abbiamo tempo dalle 7:00 alle 8:00 del giorno dopo, poi saremo esclusi dalla gara perché sarebbero iniziate le verifiche delle auto (SSV). Al di là di tutto si tratta di una prova della coppa del mondo Baja, il rispetto dei regolamenti è tassativo. Il disastro si sta per compiere, non solo rischiamo di non correre ma anche di rimetterci i soldi di iscrizione, voli, ecc. Il rimborso è infatti previsto solo se si superano le verifiche tecniche. Andiamo a cena e poi torniamo in albergo, il trasportatore ci dice che alla frontiera hanno trovato problemi assicurativi. Quando intuiamo che la faccenda sta prendendo pieghe economiche di tipo doganale la disperazione comincia a farsi strada e io vado a dormire nella mia stanza perché ne ho abbastanza, negli ultimi tempi mi saltano tutte le gare. Verso le 2 di notte la svolta. Sento battere forte alla porta della mia camera, è Alberto Bertoldi che bussa con le sue manine delicate. Mi dice che il container è appena arrivato e dobbiamo volare a sistemare le nostre cose. Mezzi stravolti ci dirigiamo al paddock e nella notte cominciamo a preparare tutto, montiamo lo Stella, facciamo i collegamenti elettrici, risolviamo gli immancabili problemini tecnici dandoci la mano l’un l’altro.