Ci racconti cosa è successo?
“Nell’incidente ho subito anche un trauma cranico commotivo, quindi non mi ricordo esattamente la caduta. Ho memoria fino alla curva prima. Giudicando i fatti, l’impatto è stato dato da un ramo di un albero che avanzava all’interno della fettuccia di una speciale. Io ho preso il ramo con il casco e ho avuto una compressione che mi ha fatto andare la testa indietro. Questo è quello che sicuramente è successo. Il perché sia successo non è chiaro. Credo, con probabilità, che quel punto sia stato leggermente modificato dopo che erano caduti alcuni paletti, perché io non sono uscito dalla fettuccia e non ho colpito il fusto della pianta”.
Strano che il tuo incidente sia avvenuto al secondo giro, dopo che sono passati tanti piloti e nessuno ha avuto quel problema.
“Ripeto che non si può sapere con certezza cosa sia successo. Ma c’era fango ed era una curva in contropendenza a sinistra. Quindi era facile andare larghi e io, infatti, ho impattato all’uscita”.
Certo che farsi male così tanto, senza cadere è quasi paradossale.
“Io non voglio puntare il dito contro nessuno, però io sono caduto in quel confine tra il ripristinare il tracciato esattamente come era prima o più alla buona. Sfortunatamente io sono transitato tra i primi del secondo giro e, vuoi per la mia altezza, vuoi per la posizione che avevo, vuoi che magari mi sono alzato in piedi sono andato a sbattere; però essendo dentro la fettuccia non mi sento di dire che sia stata colpa mia”.
Dopo la caduta come stavi? Hai avuto paura?
“Il primo ricordo che ho è del papà di Soreca che mi ha soccorso, mentre Davide stava fermando la speciale. Sono arrivati presto anche i medici dell’RMT, cioè i dottori che seguono le gare di enduro in moto. Poi ho qualche fotogramma del viaggio in ambulanza assieme ad Albergoni. Sinceramente sul momento non ero così preoccupato, perché muovevo tutto e avevo feeling dappertutto. Avevo capito cosa potesse essere successo perché avevo dolore, ma mi tutelavo. Mi sono preoccupato di più qualche giorno dopo, quando iniziavano ad arrivare i risultati degli esami che evidenziavano una doppia frattura e comunque un quadro clinico non così roseo in generale”.
Come l’hai presa? Sei caduto mentre eri in testa al Mondiale Enduro3, in un ottimo momento di forma.
“È difficile rispondere a questa domanda. Perché ci sono due punti di vista. Se penso al lato sportivo, l’ho presa malissimo, perché ho iniziato a lavorare con Fantic l’anno scorso e abbiamo fatto da subito grandi cose, lottando per il Mondiale Enduro1 con Verona e vincendo la Sei Giorni. Quest’anno abbiamo scommesso su un progetto molto acerbo, quello della 300 2 tempi, eppure in poco tempo siamo stati subito molto competitivi, arrivando a conquistare la vetta del Mondiale, vincendo anche tutte le gare degli Assoluti nella classe 300. Ma soprattutto eravamo in una fase di costante miglioramento, con ancora tante cose da provare. Quindi l'incidente in quel momento è stato disastroso e l’ho accusato anche dal punto di vista del morale, considerando l’età e il lavoro che serve per mantenere un certo livello quando non sei più giovanissimo. I primi giorni sono stati molto difficili: dovevo stare fermo immobile e vedevo gli altri che correvano, rendendomi conto che avrei avuto la possibilità di portarmi a casa un titolo Mondiale”.
E, invece, qual è la parte positiva?
“Mi sento di essere stato fortunato. Se il frammento che mi ha toccato il nervo lo avesse lesionato totalmente, o se la frattura si fosse spostata andando a toccare il midollo, sarebbe stato diverso per la mia vita. È questo che mi fa affrontare questa cosa in maniera più positiva. Purtroppo, conosciamo tanti piloti che questa fortuna non l’hanno avuta. Quindi non ho recriminato tanto”.
Come hai trascorso questi mesi di convalescenza?
“Il momento peggiore è stato il primo mese: sono stato praticamente sempre sul divano, dovevano aiutarmi a fare tutto, mangiare, andare in bagno e lavarmi. C’era ancora il dubbio su una eventuale operazione. Passati quei 20 giorni ho potuto iniziare a camminare, pianissimo, col tutore al busto e al collo, ma già poter uscire è stato utile a livello morale. Poi io sono uno che ha bisogno di sfidare sempre sé stesso dal lato fisico, quindi ho tentato di fare quello che era consentito fare, ma il più possibile e al meglio, a livello di riabilitazione e attività generale. Ho cercato di pensare il meno possibile alle gare, perché per come sono andate le cose la mia possibilità di portare a casa il Mondiale era quantomeno possibile. Il mio percorso non è ancora finito e non è neppure chiaro al 100%; per arrivare a essere in forma come prima c’è ancora un passo da fare”.